24, 42
Due coppie di numeri. Pari. Palindromi. Cifre che crescono e decrescono al quadrato e radice quadra, che si incontrano a metà per un attimo di vita brevissimo. Sono il figlio e il padre, gli amanti, i gemelli siamesi uniti per il fianco, il viaggiatore e il mentore. Il primo numero in ascesa, dirompente, curioso, coraggioso, affamato di vita. Il secondo in discesa, consapevole, generoso, sazio. Due età dell’uomo incastrate in una croce chiastica che ruota vorticosamente sul perno del continuo cambiamento. La storia recente e contemporanea è pervasa da vicende che portano alla luce violenza e odio. Nonostante l’evoluzione sociale e il progresso, c’è un intero tessuto che continua a innervare il presente. L’odio è uno strumento essenziale della retorica del capro espiatorio: si individua una vittima su cui orientare, anche violentemente, il risentimento sociale, evitando di affrontare le responsabilità e i vincoli che la realtà impone.
Un ragazzo viene inseguito e pestato senza motivo. Esanime si affloscia come un Cristo contuso tra le braccia di una Addolorata piangente dalle nocche abrase. 24 cade, muore e infine risorge sotto lo sguardo indagatore della torcia di 42, che lo trova in un cratere nudo come un verme e gravido di rabbia. I due uomini intraprendono insieme un viaggio fugace, breve quanto il momento irripetibile di eclissi totale tra un oggetto celeste in fase crescente e uno in fase calante. Il percorso porterà 24 al primo compimento della maturità, il perdono, e 42 all’accettazione di una nuova età al margine della giovinezza esaurita, giovinezza che cessa di essere un trofeo da rincorrere e invidiare trasformandosi in rinnovata energia da tramandare, per non morire, mai.
L’opera è una parabola notturna che culmina in una nuova alba, in accordo con l’omonimo passo 24,42 del Vangelo secondo Matteo che recita: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà».