DEMONI
Cosa pensano davvero i giovani, cosa desiderano? Come vorrebbero il mondo? E quali sono i cambiamenti, anche rivoluzionari, che vorrebbero attuare?
Un gruppo di ragazzi, partiti qualche anno prima, finita la scuola, fa ritorno nella città natale. Sembrerebbe una semplice rimpatriata, ma è qualcosa di più: i giovani fanno parte di una fantomatica organizzazione internazionale ecoterrorista, e il loro obiettivo è quello di occupare uno spazio pubblico e costituire un nuovo modello di società e di convivenza proprio nella cittadina in cui sono nati. Un’utopia, un sogno di piccola rivoluzione semipacifica. Questo ritorno si rivela però più complesso del previsto: gli otto ragazzi si troveranno incastrati in un vicolo cieco, in una violenta tragedia da cui non riusciranno più a uscire.
A partire dallo schema tracciato da I Demoni di Fëdor Dostoevskij, questo spettacolo vuol essere un affresco della giovinezza attuale compiuto però con gli strumenti del teatro di parola. Tramite la riscrittura di quel grande classico ai giorni nostri, lo spettacolo ripropone le stesse attualissime domande: quello che i giovani nutrono nei confronti dei padri è davvero odio, oppure un’altra faccia dell’adorazione? Qual è il mondo che la nuova generazione vorrebbe costruire, se avesse la forza e il potere per costruirne uno? Quali sono le idee dei ragazzi quando pensano al cambiamento sociale e, perché no, alla rivoluzione?
L’operazione è affidata a Fabrizio Sinisi – pluripremiato drammaturgo trentaquattrenne, recentemente insignito del Premio Testori per la Letteratura e del Premio della critica ANCT, drammaturgo residente e consulente artistico del CTB – e Claudio Autelli, uno dei migliori registi della scena teatrale milanese, già autore di diverse regie di spettacoli di successo prodotti dal Centro Teatrale Bresciano. Esito drammaturgico del Progetto Generazione del CTB, nato in occasione del bicentenario della morte dell’autore russo, “lo spettacolo è un’indagine nei confronti della nuova generazione”, scrive Fabrizio Sinisi, “ma anche un atto dovuto: è una generazione questa che spesso non ha un suo spazio espressivo specifico, un teatro scritto apposta per lei, come l’ha avuto la generazione di Osborne o di Sarah Kane o di Lagarce, e il nostro vuol essere quindi un piccolo, timido tentativo in questa direzione”.