NAUFRAGHI SENZA VOLTO
Ci sono persone che non hanno diritti né da vive né da morte. Perché nel caso di tragedie come quella delle Torri Gemelle o del disastro aereo di Linate si fa l’impossibile per identificare le vittime, mentre per i migranti in mare no? Esistono forse esseri umani di serie A e di serie B?
Nonostante tutto quello che continua a succedere, non si pensa mai alla sofferenza di chi ha una persona cara che ha intrapreso un viaggio alla ricerca di un futuro migliore e non sa se ce l’abbia fatta, se stia bene, se lo rivedrà mai.
Si chiama ambiguous loss, perdita ambigua, il sentimento che provano i parenti delle persone scomparse, un lutto che non si riesce a elaborare, perché non c’è la presenza di un corpo a confermarne la morte. Se si aggiungono
vuoti normativi e inadempienze delle istituzioni (o mancanza di volontà!) come l’Unione Europea, la possibilità di avere una risposta si fa ancora più remota; al dolore si aggiunge la rabbia e il problema diventa anche sociale.
È questo il contesto in cui opera il Labanof, Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano, diretto da Cristina Cattaneo, antropologa, medico legale e autrice di Naufraghi senza volto, libro vincitore di diversi premi fra i quali il Premio Galileo 2019 e tradotto in numerose lingue, tra cui in giapponese.
Questa autentica crociata, coordinata dall’Ufficio del Commissario Straordinario del Governo per le Persone Scomparse, dalla Marina Militare e coadiuvata anche da diverse università e organizzazioni di volontariato, è raccontata nel libro attraverso i naufragi dell’ottobre 2013 e del 18 aprile 2015.
In quest’ultimo caso, la nave affondò con circa novecento persone a bordo e l’equipe del Labanof effettuò sui cinquecentosessantasei corpi recuperati le analisi autoptiche, la catalogazione dei vestiti e degli oggetti ritrovati e mise i risultati al servizio dei familiari dei dispersi, per permettere loro il riconoscimento delle vittime.
Il Labanof è riuscito a realizzare un piccolo miracolo: «restituire una storia, un’identità e perfino la dignità» alle vittime senza nome dei naufragi del Mediterraneo. Ora è fondamentale che la politica faccia la sua parte e il “paradigma Labanof” diventi prassi a livello nazionale ed europeo.