Laboratorio delle idee per la produzione e la programmazione dello spettacolo lombardo

MISSING OUTS

MISSING OUTS - Immagine: 1
compagnia: Teatro delle Moire
di: Elisabetta Consonni
drammaturgia: Francesco Dalmasso, Bart van den Eynde
cast: Daniele Pennati
coreografia: Elisabetta Consonni
in coproduzione: residenze Lavanderia a Vapore - Piemonte dal Vivo
MISSING OUTS
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Scheda artistica
Scheda tecnica

Il progetto si ispira al saggio dello psicanalista inglese Adam Philips In Praise of the Unlived Life, che offre un'interessante prospettiva sulla nevrosi contemporanea che ci vede in un continuo desiderare, bramare e aspirare a differenti obbiettivi, costantemente nel divario tra chi ci aspettiamo di essere in futuro e chi, invece, siamo al presente. In una società basata sul valorizzare esageratamente la particolarità del sé come unità singolare volta a ottimizzare e rendere massimamente produttiva la vita vissuta, cresciamo pensando di essere nati per essere speciali, ma presto ci rendiamo conto di quanto siamo accidentali e, nonostante tutto, ci è richiesto di godere di un mondo dove non siamo niente di speciale "al pari delle formiche e dei narcisi". Cerchiamo costantemente la nostra soddisfazione all'interno di un capitalismo consumistico, in cui "conoscere noi stessi" significa "semplicemente sapere cosa vogliamo avere". Viviamo nell'ossessione del mito del nostro potenziale: "Tutti noi viviamo due vite, quella che viviamo e un'altra a fianco, una vita parallela, che non realizziamo mai, che viviamo nella nostra mente, la vita che desideriamo e su cui abbiamo fantasie: i rischi che non abbiamo mai corso, le opportunità che abbiamo perso o che non ci sono state concesse. La chiamiamo vita non vissuta perché in qualche modo crediamo che avremmo potuto viverla, ma per alcuni motivi non è stato possibile. [...]". Condividiamo la nostra vita, in un certo senso, con le persone che non siamo riusciti a essere: un'elegia dei bisogni insoddisfatti, desideri sacrificati e strade non percorse". Nel testo, Phillips usa la tragedia greca come strumento per spiegare meglio la sua idea: "[Le tragedie greche] raccontano sempre storie di individui che non riescono ad ottenere ciò che vogliono [...] e scoprono che qualcosa non va nel loro desiderio". Questo ci ricorda il concetto greco di Hybris, l'orgogliosa tracotanza che porta l'uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l'ordine costituito, sia divino che umano. In un certo senso, questa presunzione dice molto sul modo in cui, da essere umani, abitiamo il mondo. Nel suo suggerimento Philips ci offre un altro tipo di speranza - non quella consumistica, che tutti i nostri sogni possano diventare realtà, ma la speranza che le nostre frustrazioni ci conducano fuori dal mondo fantastico della nostra mente verso un confronto con quella che è effettivamente la realtà. "Tutte le mancanze di cui soffriamo, per scelta o per costrizione, ci rendono ciò che siamo" e possono essere l'improbabile chiave per una vita pienamente vissuta. Le nostre vite non vissute, in altre parole, illuminano le priorità, i valori e i desideri che stanno alla base della vita che viviamo. Il progetto si situa in continuità con una precedente produzione dell’autrice And the colored girls say: doo da doo da doo da doo, progetto che ha anche beneficiato del sostegno di Next 2017 sezione danza. Come nella precedente produzione v'è l'intenzione di continuare ad indagare il mezzo vocale e canoro. Oltre all'aspetto tecnico, relativo ad uno dei media usati, c'è una continuità in termini di temi che muovono il processo artistico: l'intenzione è quella di mettere a fuoco un aspetto micro del sociale, vissuto intimamente e personalmente, incorporandolo attraverso un processo artistico e prodotto performativo. Il progetto muove da un interesse e studio della sociologia come metodo di analisi del mondo e una necessità di non lasciare questa analisi a livello intellettuale, ma di esperirla con il corpo e la pratica per aprire altri percorsi, esiti e significati. Il progetto si situa in continuità anche con la dimensione velatamente sarcastica attraverso la quale si guarda ad una condizione personale e collettiva, così come nella precedente produzione And the colored girls say:…. definito, in un testo critico, “ferocemente ironico”.