A CASA ALLO ZOO
“Le persone forzate all'isolamento desiderano interazioni sociali in modo simile a quello in cui un affamato si mette in cerca di cibo”. Così Rebecca Saxe, John W. Jarve Professor in Scienze cognitive e cerebrali, sintetizza i risultati di una ricerca curata dal MIT di Boston per osservare gli effetti della “bolla sociale” che ha avvolto le persone come conseguenza del distanziamento e delle raccomandazioni a non frequentarsi in presenza.
Questo desiderio d’interazione sociale prende quindi i connotati di un bisogno radicale quanto quello di nutrirsi, un bisogno di uscire dalla bolla sociale che, come una gabbia, ci ha costretto alla solitudine o alla convivenza forzata.
È questo il tema che esplode in A casa allo zoo, opera inedita in Italia, composta da due atti unici, Vita casalinga e La storia dello Zoo, messi in dialogo dal loro autore Edward Albee a distanza di quasi cinquant’anni uno dall’altro.
Tutto accade in una tranquilla domenica di primavera a New York. In Vita casalinga Peter, editore di successo, è sprofondato nella lettura di un libro da pubblicare quando la moglie gli si avvicina e pronuncia una frase innocua quanto minacciosa: “dovremmo parlare”.
Il matrimonio che Peter pensava stesse “navigando piacevolmente su una barca inaffondabile”, con due figlie, due gatti e due pappagallini rischia di venir sommerso dal diluvio di insoddisfazione e senso di claustrofobia che la moglie Ann gli palesa con ironia disarmante. Lui che credeva di essere il maschio alfa della famiglia scopre d’essere più paragonabile ad una pianta ornamentale che se ne sta in un angolo, senza disturbare, in attesa d’essere innaffiata. Decide allora di stare da solo e per fare i conti con questa nuova definizione di sé, uscire e continuare la lettura al parco.
Qui inizia La storia dello Zoo. Peter è seduto su una panchina a leggere e viene avvicinato da Jerry, un tipo strano, dall’aria trasandata ma non sporca, dall’atteggiamento invadente ma non aggressivo. Jerry viene dai bassifondi, vive in periferia ed è tutto quello che Peter non è mai stato. Ma Jerry sembra anche essere quello di cui Ann avrebbe desiderio, un uomo ruvido, volitivo, forte. Tra i due inizia un dialogo apparentemente innocuo. Jerry vuole solo raccontare una cosa che gli è successa allo zoo, ma non fa altro che intromettersi sempre di più nella vita di Peter fino a parlare di sua moglie Ann. Il dialogo tra i due diventa sempre meno civile con Jerry che, con un raptus di violenza, spintona Peter a terra e s’impossessa della panchina. Per Peter il gesto è intollerabile, grazie alle provocazioni dell’estraneo capisce quali siano gli aspetti insopportabilmente
“civili” del suo carattere, la gabbia di buone maniere e pacata razionalizzazione che lo rendono una piantina d’appartamento, ma decide comunque di trattenersi dal fare rissa con Jerry. Quando questi però gli lancia un coltello ai piedi sfidandolo a raccoglierlo e a combattere “ad armi pari” perché a mani nude non sarebbe in grado di tenergli testa, Peter prende il coltello in mano e in un attimo si ritrova Jerry addosso.
L’abilità di Albee è quella di saper spiazzare lo spettatore senza tradirne le aspettative, l’attacco di Jerry si rivela infatti un’azione disperata per togliersi la vita. Prese le mani di Peter che stringevano il pugnale Jerry si conficca la lama nel ventre e rivela d’aver preso questa decisione allo Zoo, davanti alla gabbia delle belve feroci. Per uscire dalla ferocia della sua stessa gabbia. La storia dello zoo era quindi la storia che stava scrivendo proprio in quel momento davanti a Peter, “La pubblicheresti?” gli chiede.
Le lame affilate che in Vita casalinga sono squisitamente verbali prendono violenza fisica in La storia dello zoo e ritraggono un’umanità sola, isolata, disabituata a comunicare e condividere, in un modello di mondo materialistico fatto di disparità sociali e disumanizzazione. Il tutto raccontato da Albee con la consueta maestria dialettica e un linguaggio in cui domina un’amara ironia.