ELLE_VIVE
Il continuo incremento negli ultimi decenni, di dispositivi tecnologici in grado di riprodurre la realtà spingono ad una riflessione sul concetto di artificialità e riproducibilità, copia e originale sia nella realtà cosi come nell’arte. La nuova produzione della compagnia Ariella Vidach Aiep, Elle_vive affronta il tema della perdita dell’unicità e irriproducibilità, che la danza dal vivo unica tra le arti, continuava a detenere. Attraverso l’analisi della computer vision di una Kinect (telecamera in grado di tradurre i movimenti e ricostruire la tridimensionalità del corpo in scena) affronta la relazione tra copia e originale. Questa relazione si stabilisce tra il performer sul proscenio/l’originale e la Kinect/copia che non restituisce l’immagine e il movimento per imitazione (la macchina non vede) ma riconosce e interpreta i dati che riceve dal movimento del corpo generando un risultato che non assomiglia in nessun modo al reale, producendo così un elemento di rottura rispetto al passato quando le macchine servivano per riprodurre potenziati i sensi umani come la vista. Il progetto Elle_vive intende infatti evidenziare come la tecnologia può trasformarsi da strumento di riproduzione a interessante dispositivo per la creazione di nuove sistemi di lettura della realtà che inducono a reinterpretare ed elaborare di nuove forme di espressione per il corpo. Tre danzatrici e un avatar condividono lo spazio e dialogano tra loro. La coreografia evidenzia il principio di originale e di copia quando una delle interpreti alternandosi nel ruolo, guida l’altra che segue ed insegue producendo un sfasamento temporale e di forma che disvela percettibilmente le differenze di personalità e carattere delle performer. Anche l’avatar, animato inizialmente da vita riflessa, dipendente dal suo “originale” che lo istruisce dal vivo, cambia ruolo nel corso della performance per trasformarsi da copia a originale e diventare elemento ispiratore di gestualità inconsuete e slegate da ogni forma di relazione dinamica e cinetica. L’avatar che si materializza sul fondo sulla scena producendo sincronie non perfette, ma molto vicine alle forme impartite, invitando a riflettere sulla sempre più impenetrabile capacità di distinguere l’umano dal non umano, il vivente dall’artificiale. Il tema dell’Uncanny e del perturbante, mutuato dalla riflessione di Sigmund Freud sul Unheimliche ossia su quella particolare situazione di inquietudine che si sviluppa quando qualcosa di familiare rivela dei caratteri estranei e inattesi ma scarsamente distinguibili, finisce per creare una strana sensazione di angoscia unita a confusione ed estraneità. Questa sensazione cui assistiamo costantemente con le voci delle Intelligenze Artificiali, come con i robot, è uno degli elementi caratterizzanti il nostro tempo, che avvicinano quelle che erano visioni fantascientifiche al presente, ponendoci importanti domande. La performance si svolge in una dimensione phygital dove l’interazione tra corpo reale e immagini digitali, tra fisico e digitale appunto, determina un’immersione ibrida e apre a una nuova dimensione della realtà e slabbra le categorie binarie attraverso cui siamo abituati a concepire l’opera coreografica.