AMLETO. UNA QUESTIONE PERSONALE
Amleto e le sue domande sono dentro ciascuno di noi: quello che ci rende umani è il dubitare, il poter ipotizzare scenari differenti a seconda delle azioni, delle relazioni, delle direzioni che scegliamo di percorrere. Così Amleto. Una questione personale è un viaggio, anzi sono due viaggi.
Due percorsi diversi e possibili che attraversano luoghi differenti ed incontrano personaggi, dubbi, momenti della tragedia shakespeariana fatta a pezzi. Come un puzzle che si compone nelle casualità degli incontri, ma che permette di specchiarsi e riconoscersi.
Amleto. Una questione personale nasce dal desiderio di sperimentare le possibilità di commistione tra le azioni di teatro nel paesaggio, le performance immersive e quelle per uno spettatore solo: le strade che gli artisti di Campsirago Residenza indagano da anni e che sono state oggetto del corso di alta formazione da cui questo spettacolo nasce.
LO SPETTACOLO
Amleto. Una questione personale è uno spettacolo di teatro contemporaneo, in parte su palco, in parte itinerante e site-specific che, attraverso un viaggio fisico e metaforico esplora i grandi temi del dubbio e del desiderio. Un progetto di performing art che viene riadattato ad hoc per spazi all’aperto (urbani o naturali) oppure per spazi interni ai teatri.
Amleto è una crepa, è un nome scheggiato, una storia che nessuno vuole più sentire. Eppure Amleto continua ad abbaiare, ritorna sempre, come un cibo indigesto, come una melodia incessante, come una piccola spina scura sotto la pianta di un piede. Amleto è quella presenza che risiede dentro ognuno di noi, come un esercito in assetto di guerra. Amleto ha mille maschere, come lo sono le celle segrete dentro di noi; è quel pensiero che ci ingabbia sotto una tempesta interiore.
Amleto. Una questione personale diviene esperienza collettiva e individuale attraverso i labirinti della psiche.
Lo spettacolo fonde linguaggi ed esperienze: il teatro da palco, la drammaturgia contemporanea in una riscrittura destrutturata e originale dei temi di Amleto, fino al teatro immersivo in cui la tecnologia delle cuffie, il soundscape e il testo si fondono in un monologo interiore di Amleto che, perdendosi, incontra i propri fantasmi, la spietata dinamica del potere, la passione e il dramma dell’amore. Amleto, e con lui il pubblico, si perde in una continua ricerca di sé.
Lo spettacolo inizia e si conclude con due momenti corali su palco, in cui si rappresentano il matrimonio di Claudio e Gertrude e quanto avviene dopo la distruzione della corte di Elsinore. Dopo la prima scena il pubblico viene diviso in due gruppi che seguiranno due guide e due differenti percorsi con al centro i temi della follia, dell’amore e del potere. Questi percorsi di drammaturgia nel cammino confluiscono in un momento centrale, nel quale tutti si ritrovano per assistere al funerale di Ofelia. I percorsi possono svolgersi all’aperto oppure in tutti gli spazi interni ai teatri: foyer, cortili, atri, ingressi, caffè e bistrò, corridoi, sale adatte anche una disposizione non frontale del pubblico.
Ad aprire lo spettacolo è la grande festa che celebra il matrimonio tra Claudio e Gertrude: gli invitati al banchetto danzano e danno sfogo ai propri sentimenti. Una grande gabbia al centro della scena ci ricorda che la Danimarca è una prigione e che la nostra mente è costantemente abitata da spettri, rimorsi, dubbi. Si intravedono i segnali della disgregazione della corte, così come dell’Io del giovane principe e di ciascuno di noi. Amleto inizia a dubitare e lo fa interrogando gli spettatori: “Chi sei quando nessuno ti guarda? Qual è il tuo dubbio? Guardati dentro: hai fatto la tua scelta? Di cosa dubiti? Di cosa hai paura? Cosa ti impedisce di liberarti completamente? Quale dubbio ti impedisce di sognare?”. Alla fine della festa una voce invita gli spettatori ad alzarsi, a partire e a percorrere un labirinto in un paesaggio fisico, simbolico e interiore.
Nei due differenti viaggi il pubblico incontra personaggi e azioni diverse che entrano in risonanza con i testi ascoltati in cuffia, fino a ricongiungersi di fronte al funerale di Ofelia, preparato dai becchini e accompagnato da un coro. Ogni gruppo quindi riprende il proprio cammino in fila indiana verso altri quadri scenici in cui ogni attore e azione diviene visione e fantasma del dramma.
La geografia drammaturgica e fisica procede per vie traverse, deviazioni, salite, come sono le nostre anime.
Nella scrittura corale dello spettacolo, Amleto vaga come un fantasma al di fuori della consuetudine, del buon costume, oltre quel confine della vita ordinata di chi, apparentemente, si accontenta di una felicità effimera e volatile. Amleto rappresenta l’inquietudine, quel tormento interiore che non ci fa dire “sono davvero felice”; quel tremare continuo nell’impossibilità di stare, semplicemente, senza partire e andare, ogni volta, per ricominciare da capo. Nella performance Amleto diviene colui che dentro di noi ci impedisce di superare il limite, di guardare al futuro, di scoprire cioè che non andrebbe visto. Amleto disturba segreti che non vogliono essere disvelati. È spirito del continuo dubitare, del fare filosofia sul proprio tormento interiore.
Durante il cammino si ascoltano suoni e testi, si avverte il passo degli altri spettatori, attraversando un percorso fisico in cui a ogni tappa vi è un quadro scenico, un’apparizione. Amleto, una questione personale diviene allora rito collettivo e allo stesso tempo un’esperienza individuale nella quale ognuno è invitato a indagare i propri dubbi, ma anche i propri desideri. Il passo lento si fa comunitario, e nello stesso momento la mente, come un battito continuo, scava nel proprio personale Amleto. Il paesaggio impregna della sua presenza, diviene luogo del dedalo fra i meandri del principe di Danimarca.
Ci si ritrova infine, di nuovo insieme, a passare sopra i morti dei suoi e nostri tormenti. Si torna in una reggia vuota, distrutta, spazialmente destrutturata. E qui la gabbia, metafora del nostro io attanagliato dal dubbio, si sgretola, per liberare i desideri che vi erano rinchiusi. Un Orazio-Amleto annuncia l’alba e il quietarsi degli spiriti erranti. Guardate – dice, voltandosi verso il paesaggio - la notte avvolta nel suo manto rosso, cammina sulle punte degli alberi a occidente. Smontiamo la guardia e interroghiamoci su ciò che abbiamo visto questa sera perché, sulla mia vita, credo che questo spirito, muto per molti, a voi parlerà.
Lo spirito dell’atto finale è la Natura. Amleto. Una questione personale si chiude con un messaggio di speranza: è andando a scavare nella nostra essenza naturale che si può trovare salvezza.